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Martedì 25 Ottobre 2011 12:45 | |||
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Affresco romano "Donna con stilo e libro" (detta Saffo)
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PROTEZIONEdi Fabio GranaroCascina Macondo - Scritturalia, domenica 14 marzo 2004 Era quasi mezzogiorno e faceva un gran caldo. Con una banale scusa Eugenio venne fermato proprio nel mezzo della Piazza della Cattedrale. Era un tipo alto, sui 30 anni, leggermente scuro di pelle e chiedendo l’ora iniziò a parlare con Eugenio. Diceva di chiamarsi Mario “Sono cubano, ma ho un nome italiano. Strano vero?” disse subito. Era uno dei tanti cubani che giravano in città a caccia di turisti. Un tipo per niente speciale. Asfissiò subito Eugenio con i soliti discorsi, faceva e diceva di tutto per rendersi simpatico e affidabile. “Tranquillo, qui a Cuba ci sono nove milioni di poliziotti e due milioni di abitanti”, “In questa via non passarci di sera”, oppure “Io amo molto il tuo paese”. Nel frattempo continuavano a camminare per le vie del centro, tra le case distrutte, le strade piene di buche e signorine ammiccanti. Entrarono poi in un bar. Un posto normalissimo, ma nel quale secondo Mario avevano girato “Buena Vista Social Club”, cosa che però dicevano tutti i cubani di tutti i bar davanti ai quali passavano con un turista. Lì dentro Mario cambiò di colpo. “Ti piacciono i sigari?” chiese facendo capire che aveva svoltato nel commerciale. “Beh, sì!” rispose Eugenio mentre beveva un mojito. “Ah, bene! Io ho un amico che lavora alla Partagas e riesce a portar fuori diverse scatole di sigari. Sarebbero 70 dollari, ma per te faccio un buon prezzo, 30 dollari.” Finì la frase e corse fuori. Ritornò subito dopo con una scatola di sigari, che aprì in fretta e con la stessa velocità la fece annusare a Eugenio, per fargli testare la buona qualità dei sigari. La scatola sparì in un lampo quando Eugenio disse che, per varie ragioni, non avrebbe acquistato i suoi sigari. Mario tentò poi con una serata alternativa. Propose a Eugenio un Paladar, un ristorante in una casa privata, molto economico, dove andare a mangiare. Il posto era lontano diceva Mario, mentre finiva il suo mojito, e in brutto quartiere. Ma con lui non ci sarebbero stati problemi. “Per il Paladar si può fare - disse Eugenio - ma a cena, non adesso, ora vorrei tornare a casa a riposarmi. Possiamo trovarci alle 20.30 davanti all’Hotel Nacional.” Mario protestò. Non si fidava. Voleva che Eugenio lo seguisse subito. Poi si convinse. Si salutarono ed Eugenio tornò a casa, passando per una via nella quale dei bambini stavano giocando a baseball con un bastone e un frutto come palla. Distratto dai bambini e dalla cena, Eugenio andò a sbattere contro un tizio che era fermo a un angolo della strada. Era un vecchio, con la barba e i capelli bianchi. Alto e robusto. Non era un cubano, sembrava un americano. Eugenio si scusò, l’uomo gli sorrise. Eugenio continuò dritto, ma non sapeva perché, l’idea della cena non era più così allettante. Il vecchio l’aveva già visto sull’aereo e in giro per la città. Anche in quella stessa mattina appena uscito da casa. Come dimenticarselo? Faceva parte di quella strana mattinata. Alle 9.30 Gerardo, il padrone della casa dove Eugenio alloggiava, aveva fatto un gran casino portando fuori di casa il suo risciò arrugginito. Gerardo era un bravo uomo. Si guadagnava da vivere portando in giro per pochi dollari i turisti sul suo mezzo traballante e affittando il suo minuscolo appartamento. Eugenio fu costretto a svegliarsi e ad alzarsi. Uscì. Alle 10 il sole era già caldo e le strade de La Habana erano già piene di gente. Di turisti e di cubani che gli correvano dietro. Eugenio girò tranquillamente per un paio d’ore sul Malecon, il lungomare affascinante e decadente de La Habana. Poi in una strada vide il vecchio. Fermo. Guardava in giro. Catturò l’attenzione di Eugenio per la sua grande somiglianza con… Non riuscì a finire il pensiero che un uomo basso, sui cinquant’anni, capelli lunghi, vestito malissimo con una t-shirt bucata e un paio di jeans sporchi, lo fermò con la solita domanda “Sei italiano, verdad?” “Sì” rispose Eugenio. Con lui c’erano due bambini. Biondi, puliti e ben vestiti. L’esatto opposto. Strano. “Ahh! Cerchi una casa?” disse l’uomo “Sì. Ma non qui. A S.Maria del Mar. Ne hai una?” “Claro que si!” L’uomo invitò Eugenio a sedersi su una panchina di un giardinetto lì vicino. Iniziò a parlare, dimenticandosi dei due bambini che intanto si stavano picchiando. “Sei stato fortunato a incontrarmi, sai?” “Davvero?” disse Eugenio con ironia. “Mi chiamo Pablo e ho quello che cerchi. Ti posso affittare quella casa laggiù, per 10 dollari a notte” disse solennemente, indicando una casa all’angolo piuttosto fatiscente. “Sì, ma io devo andare a S.Maria del Mar che è a 15 chilometri da qui!” rispose Eugenio. “No hay problemas, vedi laggiù? Ti posso affittare un’auto come quella - disse indicando una Buick azzurra che passava in quel momento- per 5 dollari al giorno e da qui a S.Maria del Mar ci sono più o meno dieci minuti di auto. Vai al mare, stai lì e poi alla sera torni.” Era geniale Pablo. Un venditore perfetto. Aggiunse al pacchetto pure una donna. Un’infermiera. Seria e sana. Secondo lui quelle che giravano per strada erano pericolose, ma le infermiere erano “sicure”. Era un servizio completo, spiegato da vero imbonitore da fiera. Eugenio stava già dicendo di no, quando per la strada rivide il vecchio. Sembrava che guardasse nella sua direzione e cosa ancora più strana sembrava che annuisse. Eugenio si alzò, salutò Pablo e andò via. Era quasi mezzogiorno e faceva caldo. Mentre si dirigeva nella Piazza della Cattedrale pensava a quel vecchio. Al fatto che sembrava che lo seguisse. Era sull’aereo, era in giro, era vicino al giardinetto. La sensazione sarebbe stata più forte dopo l’incontro con Mario. Mentre guardava la Cattedrale, Eugenio pensava alla strana somiglianza del vecchio con… “Scusa hai l’ora? Mi chiamo Mario. Sono cubano e ho un nome italiano. Strano vero?” LA FORESTERIA "TIZIANO TERZANI" DI CASCINA MACONDO
Il nome "Macondo" che abbiamo dato alla nostra Cascina nel 1992 " Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito. Tutti gli anni verso il mese di marzo, una famiglia di zingari cenciosi piantava la tenda vicino al villaggio, e con grande frastuono di zufoli e tamburi faceva conoscere le nuove invenzioni. Prima portarono la calamita. Uno zingaro corpulento, con barba arruffata e mani di passero, che si presentò col nome di Melquìades, diede una truculenta manifestazione pubblica di quella che egli stesso chiamava l'ottava meraviglia dei savi alchimisti della Macedonia. Andò di casa in casa trascinando due lingotti metallici, e tutti sbigottirono vedendo che i paioli, le padelle, le molle del focolare e i treppiedi cadevano dal loro posto, e i legni scricchiolavano per la disperazione dei chiodi e delle viti che cercavano di schiavarsi, e perfino gli oggetti perduti da molto tempo comparivano dove pur erano stati lungamente cercati, e si trascinavano in turbolenta sbrancata dietro ai ferri magici di Melquìades…"
Si ringrazia Gabriel Garcia Marquez per aver scritto e regalato agli uomini un così grande libro. A lui la nostra gratitudine e il nostro affetto.
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Ultimo aggiornamento ( Mercoledì 26 Ottobre 2011 09:44 ) |
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