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Alessandro Dattola - l'orologio |
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Scritto da Super Amministratore | |||
Domenica 24 Luglio 2011 04:55 | |||
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Affresco romano "Donna con stilo e libro" (detta Saffo)
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L’OROLOGIOdi Alessandro DattolaCascina Macondo - Scritturalia, domenica 10 aprile 2005 Tic… Tac… Tic… Tac… Tic... Tac... Sgrang! Il vecchio orologio di mio padre è andato in frantumi. I suoi congegni meccanici giacciono sparsi sul suolo di casa. Una distrazione ha demolito quell’oggetto che avrebbe dovuto accompagnare il ricordo del mio genitore. Mentre guardo, incredulo, ciò che rimane di quella reliquia, mi viene in mente quando papà entrò in casa tutto orgoglioso, mostrandoci il suo Rolex. Finalmente anche lui poteva vantare, come il suo idolo Gianni Agnelli, un Rolex d’oro. Vorrei piangere, ma non ne ho la forza; l’unica cosa che riesco a fare è abbattermi sulla poltrona e pensare a come far fronte a questa sventura… passano dieci minuti, poi mezz’ora, e i resti di quella società che mi ha allevato sono ancora lì come rovine. Potrei lasciarli giacere finché il tempo non li ricopra di uno strato di terra e sperare che archeologi di un’era futura trovino quei reperti e magari ricostruiscano gli usi e i costumi della mia civiltà. Anche se ciò non alleggerirebbe il peso della mia responsabilità verso quelle testimonianze. Rammento il giorno della mia laurea: papà mi chiamò in disparte e dispose che per quell’occasione avrei potuto indossare il suo gioiello. Io ero in soggezione all’idea di portare quell’arnese fuori moda: pesante, sfarzoso e pretenzioso, inoltre temevo che i miei compagni mi deridessero, ma capivo il significato che mio padre dava a quell’oggetto e quale oltraggio sarebbe stato rifiutarglielo. Quindi, a malincuore, misi al polso l’orologio, cercando di nasconderlo il più possibile sotto il polsino della camicia. Ciò non impedì a mio padre di farsene vanto, poiché ogni volta che ci trovavamo in mezzo a più persone mi chiedeva l’ora. Raccolgo i resti di quel regalo e li pongo in una scatola, poi ritorno alle mie occupazioni, consapevole che almeno nel ricordo non tutto è perduto. LA FORESTERIA "TIZIANO TERZANI" DI CASCINA MACONDO
Il nome "Macondo" che abbiamo dato alla nostra Cascina nel 1992 " Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito. Tutti gli anni verso il mese di marzo, una famiglia di zingari cenciosi piantava la tenda vicino al villaggio, e con grande frastuono di zufoli e tamburi faceva conoscere le nuove invenzioni. Prima portarono la calamita. Uno zingaro corpulento, con barba arruffata e mani di passero, che si presentò col nome di Melquìades, diede una truculenta manifestazione pubblica di quella che egli stesso chiamava l'ottava meraviglia dei savi alchimisti della Macedonia. Andò di casa in casa trascinando due lingotti metallici, e tutti sbigottirono vedendo che i paioli, le padelle, le molle del focolare e i treppiedi cadevano dal loro posto, e i legni scricchiolavano per la disperazione dei chiodi e delle viti che cercavano di schiavarsi, e perfino gli oggetti perduti da molto tempo comparivano dove pur erano stati lungamente cercati, e si trascinavano in turbolenta sbrancata dietro ai ferri magici di Melquìades…"
Si ringrazia Gabriel Garcia Marquez per aver scritto e regalato agli uomini un così grande libro. A lui la nostra gratitudine e il nostro affetto.
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Ultimo aggiornamento ( Lunedì 01 Agosto 2011 08:11 ) |
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