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Antonella Filippi - l'incontro |
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Scritto da Tartamella | |||
Giovedì 21 Luglio 2011 10:05 | |||
Affresco romano "Donna con stilo e libro" (detta Saffo)
![]() Cascina Macondo Centro Nazionale per la Promozione della Lettura Creativa ad Alta Voce e Poetica Haiku Borgata Madonna della Rovere, 4 - 10020 Riva Presso Chieri - Torino - Italy Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. - www.cascinamacondo.com
L’INCONTROdi Antonella FilippiCascina Macondo - Scritturalia, domenica 17 giugno 2007 Si dice ci siano incontri fatali, ma alcune fatalità possono essere di per se stesse letali. Non che lo siano intrinsecamente, ma l’incontro tra un essere vivente e un evento può lievitare in un impasto mortale. È come se il caso giocasse a mosca cieca. Come in questo pomeriggio di inizio autunno. I bambini stanno giocando in un prato della periferia spoglia, sulle rive del Sangone, dove sopravvivono gli orti abusivi e i campi nomadi. Una volta il fiume era una delle spiagge di Torino, un greto sassoso di ciottoli arrotondati, sul quale le famiglie in costume e prendisole appoggiavano gli asciugamani e il cestino del pic-nic. In quest’acqua, prima o poi, tutti si sono bagnati o hanno imparato a nuotare. Adesso nella corrente inquinata dagli scarichi delle fabbriche che negli anni hanno sfrattato gli alberi sta scendendo un fagotto, che si ormeggia lentamente nel fango. Un bambino urla, tutti si avvicinano a quel grido, poi corrono via e in breve sul fiume inizia una processione di luci e corpi che ha poco di sacro, perché la polizia ha delimitato la zona e chiamato il medico legale. Non è un suicidio, non è stato il Sangone a spogliare quel corpo, ché il fiume è pigro e denso, e non è responsabile neanche di quel foro annerito. Questo corpo dai capelli tinti è quello di una ragazza. E non è stata una rapina finita male, perché attorno al collo è rimasto un filo d’oro. È anche probabile che non sia stata una donna a ucciderla. Le donne usano le mani per uccidere quando la piena della rabbia, della frustrazione, della disperazione, del tradimento o della rivalità straripa e travolge e non c’è argine che la fermi. Eliminano l’ostacolo con le proprie forze, con le mani, le unghie, i piedi, i denti, finché la rabbia diventa piacere e l’ossessione si placa. Le donne lasciano graffi e sfregi, perché la sofferenza non si accontenta dell’insulto, macera nel tempo e diventa feroce. Le baccanti fanno a pezzi Orfeo e il sangue che scorre ripara l’offesa. Gli uomini, invece, con le armi esprimono i loro sentimenti: il coltello per chi ritengono pari, il bastone per chi disprezzano, la pistola e le mani per la paura e per chi hanno amato. Quel buco annerito nel torace è un proiettile, che ha aperto un fiore sotto la scapola sinistra. Fiore fa rima con cuore, ma non è questo che fa pensare a chi indaga che si tratti di un amore finito male. Anche se è vero che un colpo al cuore è lo stesso che si prova quando si vede chi ci piace e un altro colpo pone fine all’amore non ricambiato, non è questo che fa pensare a un amore finito male. È il ritrovamento, a monte dell’ansa in cui è approdato il corpo, di una bustina di plastica trasparente con un documento. È la lunghezza del femore, è la conformazione del bacino, sono le protesi e le cicatrici degli interventi. L’indagine si sposta a San Salvario, all’indirizzo segnato nel documento, s’inoltra nell’elenco dei medici che operano chi ha l’anima e il corpo divisi, si sparge nei locali in cui Giorgio, diventato Vanessa, passava le notti e spendeva le sue speranze. È bella Vanessa, i lineamenti gentili, non si è mai messa in mostra, dicono i vicini, qualcuno non sa che prima era un uomo. Può sembrare una storia banale, una di quelle che si sentono tutti i giorni, ma non lo è. Il male è banale solo nell’ottundimento dell’abitudine. Come chi dice “Oh, allora…” quando l’ossessione mortale tocca una come Vanessa. È in quelle notti e in uno di quei locali che Vanessa ha incontrato un uomo. Un uomo che a casa ha un’altra donna e due bambini. Un uomo che non sa che Vanessa era un uomo. Con lei era difficile. Ma non rimpiangere / il giugno lontano, la parola cuore, / i denti come perle duri sul bacio inesperto, / la mano timorosa, il contemplato pudore. Qualcuno però ha continuato la poesia di Giovanni Giudici in modo da affogarla nella realtà di cui Vanessa si serviva e che voleva fuggire: A ripensarci, lei era poco più d’una sciocca, / oggi diresti che la mette giù dura, / e molto meno ti chiede colei che ripete: cento in albergo / e in macchina trenta, con la bocca. A Vanessa piace quell’uomo, che all’inizio è uno come gli altri, poi la sua calma e la gentilezza nate dall’aver visto molte sofferenze lo distinguono dagli altri. Da dove arriva quell’uomo che si ferma spesso nel locale? Perché così tardi torni a casa? Con chi hai speso le notti e i giorni, per quel premio di bianchi capelli? Vanessa è incuriosita, lui vede solo una bella donna che forse è disponibile. In un modo che non sapremo mai entrambi fanno in modo di parlarsi, di conoscersi, di mentirsi, di tralasciare alcuni i frammenti della loro vita. Ma quelle briciole spazzate via dal desiderio caparbio e dalla cieca illusione sono pronte a bloccare gli ingranaggi della speranza. Vanessa si innamora, anche lui s’illude di esserlo. Sta pensando di lasciare la moglie e i figli. Una sera lei lo invita a casa sua, a Nichelino. Una casa vicina al Boschetto del Sangone, non lontano dal parco della Bela Rosin, anche lei un’amante, ma di un re. Lei si spoglia al buio, fanno l’amore insieme, ma sarà l’unica volta. Mentre si riveste lui vede le cicatrici, lei non può dirgli che si è trattato di un incidente. Lui capisce di colpo. Si sente tradito, accusa Vanessa di aver taciuto. Ha la nausea, è disgustato, si sente un idiota per aver pensato di lasciare la sua famiglia, mentre la rabbia sale. E pensa anche lui “Oh, allora…” Ci sono amori difficili e rovinosi, amori che segnano come le cicatrici delle operazioni. Anche se sul momento la sofferenza non ce lo fa credere, forse domani li scuoteremo via dai pensieri come polvere. Saranno solo un pezzo di un autunno lontano. Lui si riveste senza una parola, senza una parola esce dall’appartamento. È a questo punto che i bivi stabiliti dal destino si chiudono di colpo e uno solo resta aperto. Se solo Vanessa chiudesse la porta e lo lasciasse andare, ma non può, lei vuole amare quest’uomo, non vuole rinunciare a lui. Prende la borsa e le chiavi e gli corre dietro. Gli dice che non può fare a meno di lui, che lo ama, grida che se lui non cambia idea è disposta anche a seguirlo fino a casa e a suonare tutti i citofoni per farsi aprire. Ma lì c’è una donna che vuole credere che lui arrivi a casa tardi quasi tutte le sere per colpa del lavoro e lui non può permetterselo. A poca distanza c’è il Sangone. Lui la trascina fino alla riva, la colpisce. Lei lotta, la borsetta si apre e il contenuto si sparpaglia nell’erba buia. Il medico legale incaricato dell’autopsia dalla Procura di Torino riporta che ha lo zigomo sinistro e due costole rotti, oltre a molti lividi. Lui la getta a terra, spara. Un unico colpo. Spoglia il corpo per ritardare il riconoscimento, poi afferra la borsa e raccoglie affannosamente tutto quello che trova, ma non si accorge della bustina portadocumenti caduta. Scaglia la borsetta verso il centro del fiume, poi fa scivolare il corpo nell’acqua. Che importa sapere perché lui abbia una pistola? L’ha comprata dopo essere stato rapinato due volte, lo si capisce dalle parole rotte della moglie, dopo. Il medico legale ha quasi ultimato l’autopsia. Il proiettile è uscito dal foro sulla schiena, ma lui potrebbe indicare il calibro con sicurezza. Spegne il registratore, mette il corpo di Vanessa nella cella frigorifera, chissà se aveva una famiglia, non gli aveva mai detto niente, neppure lui, d’altronde. Prende la pistola e torna a casa. LA FORESTERIA "TIZIANO TERZANI" DI CASCINA MACONDO
Il nome "Macondo" che abbiamo dato alla nostra Cascina nel 1992 " Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito. Tutti gli anni verso il mese di marzo, una famiglia di zingari cenciosi piantava la tenda vicino al villaggio, e con grande frastuono di zufoli e tamburi faceva conoscere le nuove invenzioni. Prima portarono la calamita. Uno zingaro corpulento, con barba arruffata e mani di passero, che si presentò col nome di Melquìades, diede una truculenta manifestazione pubblica di quella che egli stesso chiamava l'ottava meraviglia dei savi alchimisti della Macedonia. Andò di casa in casa trascinando due lingotti metallici, e tutti sbigottirono vedendo che i paioli, le padelle, le molle del focolare e i treppiedi cadevano dal loro posto, e i legni scricchiolavano per la disperazione dei chiodi e delle viti che cercavano di schiavarsi, e perfino gli oggetti perduti da molto tempo comparivano dove pur erano stati lungamente cercati, e si trascinavano in turbolenta sbrancata dietro ai ferri magici di Melquìades…"
Si ringrazia Gabriel Garcia Marquez per aver scritto e regalato agli uomini un così grande libro. A lui la nostra gratitudine e il nostro affetto.
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Ultimo aggiornamento ( Giovedì 21 Luglio 2011 10:09 ) |
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