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Antonella Filippi - autunno sulla panchina |
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Scritto da Tartamella | |||
Martedì 19 Luglio 2011 16:18 | |||
SMETTERE O CONTINUARE...? Hai letto questo testo di Scritturalia? Esprimi il tuo apprezzamento, da scarso a ottimo. Non è un concorso. Non c’è nessun premio. Tu e l’autore non vincerete nulla. Perché votare allora? Semplicemente perché il tuo giudizio di lettore anonimo, onesto, schietto e disinteressato, potrà essere utile all’autore. La tua disponibilità a un semplice click come stimolo per lo scrittore/scrittrice a ripensare e a migliorare la propria scrittura…
Affresco romano "Donna con stilo e libro" (detta Saffo)
![]() Cascina Macondo Centro Nazionale per la Promozione della Lettura Creativa ad Alta Voce e Poetica Haiku Borgata Madonna della Rovere, 4 - 10020 Riva Presso Chieri - Torino - Italy Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. - www.cascinamacondo.com
AUTUNNO SULLA PANCHINAdi Antonella FilippiCascina Macondo - Scritturalia, domenica 9 novembre 2008 Seduta sulla panchina di plastica del ricovero i tuoi occhi sembrano guardare lontano, verso qualcosa che non c’è più. Il tuo sguardo disperato mi passa attraverso. Il tuo sguardo in trappola. Alla fine della mia vita sarò così anch’io? Mia madre vuole morire forse lo vorrei anch’io per me, a suo tempo, vicino o lontano che sia se fossi nella sua situazione. Il senso di vuoto e di perdita, di lontananza e di trascuratezza, la testa lucida e il corpo che tradisce. Che posso fare? Son vecchia anch’io, mai avrò una pensione, già ora mi barcameno con tempi e denaro, lavoro precario e affanni, che posso fare per lei, povera donna? Solo sognare un sogno lontano di tempi trascorsi, un film finito da troppi anni. Solo vedere quello che avrebbe potuto essere se fossero state fatte altre scelte. Solo sperare che ci sia ancora un piccolo tempo per sognare. Voglio vedervi di più, hai detto tra le lacrime, al ristorante, è solo quello? Tu vuoi morire da quando lui è morto, quando ti sei ritirata ti sei dimenticata di noi. Ma la nostra vita è andata avanti, per forza, come fermarsi? Ognuna ha la sua vita, non vuol dire niente e vuol dire tanto, un piccolo riparo dal vento. Ma tu vuoi morire e non capisci ragioni. Morire in casa propria, così muoio prima, o cercare di stringersi al collo il filo della lampada, prima o poi ci riuscirò. Perché proprio adesso? Che cosa è mai cambiato? È una nuova estate, non più abbandonata di altre. Hai dimenticato il freddo che c’è in cucina e tu dal letto alla poltrona tutto il giorno? In silenzio davanti alla televisione persa in pensieri d’angoscia? Non posso venire più spesso, o forse sì, potrei, ma non ce la faccio. È sicuramente una vita da poco, la mia, niente viaggi da tanto tempo, lavoro e treni, poche passioni, e mi sento orfana da dieci anni, anche se tu sei ancora viva, se così si può dire. La tua eredità è pesante, se inciampo penso: “Sarà...?” Ho ancora progetti e speranze e in questi, ma lontano, ci sei anche tu. Lontano, sullo sfondo, ché non sei vicina da tanti anni e ti è difficile morire perché non hai vissuto. Come fosse mio capisco il tuo affanno per i giorni tutti uguali. Lasciata al margine dell’affanno altrui. Gli anni si rincorrono e ci lasciano indietro, e tutto sfuma e passa. Restano solo i ricordi, rimossi, se belli perché troppo belli se brutti da non pensare in questo tempo che resta. Fragile, troppo fragile, la vecchiaia è un fiore di vetro. Mai il cibo-spazzatura mi sembra più buono di quando provo questa sofferenza. Mastico rabbia e senso di impotenza. Se tento di suicidarmi forse qualcuno mi starà vicino, se non per amore per qualsiasi altra cosa. Un viaggio quando è ancora possibile scegliere, mentre l’oscurità a due passi sta aspettando. LA FORESTERIA "TIZIANO TERZANI" DI CASCINA MACONDO
Il nome "Macondo" che abbiamo dato alla nostra Cascina nel 1992 " Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito. Tutti gli anni verso il mese di marzo, una famiglia di zingari cenciosi piantava la tenda vicino al villaggio, e con grande frastuono di zufoli e tamburi faceva conoscere le nuove invenzioni. Prima portarono la calamita. Uno zingaro corpulento, con barba arruffata e mani di passero, che si presentò col nome di Melquìades, diede una truculenta manifestazione pubblica di quella che egli stesso chiamava l'ottava meraviglia dei savi alchimisti della Macedonia. Andò di casa in casa trascinando due lingotti metallici, e tutti sbigottirono vedendo che i paioli, le padelle, le molle del focolare e i treppiedi cadevano dal loro posto, e i legni scricchiolavano per la disperazione dei chiodi e delle viti che cercavano di schiavarsi, e perfino gli oggetti perduti da molto tempo comparivano dove pur erano stati lungamente cercati, e si trascinavano in turbolenta sbrancata dietro ai ferri magici di Melquìades…"
Si ringrazia Gabriel Garcia Marquez per aver scritto e regalato agli uomini un così grande libro. A lui la nostra gratitudine e il nostro affetto.
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Ultimo aggiornamento ( Lunedì 01 Agosto 2011 09:35 ) |
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