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Paolo Severi - le finestre erano tutte chiuse |
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Scritto da Tartamella | |||
Domenica 17 Luglio 2011 18:22 | |||
SMETTERE O CONTINUARE...? Hai letto questo testo di Scritturalia? Esprimi il tuo apprezzamento, da scarso a ottimo. Non è un concorso. Non c’è nessun premio. Tu e l’autore non vincerete nulla. Perché votare allora? Semplicemente perché il tuo giudizio di lettore anonimo, onesto, schietto e disinteressato, potrà essere utile all’autore. La tua disponibilità a un semplice click come stimolo per lo scrittore/scrittrice a ripensare e a migliorare la propria scrittura…
Affresco romano "Donna con stilo e libro" (detta Saffo)
![]() Cascina Macondo Centro Nazionale per la Promozione della Lettura Creativa ad Alta Voce e Poetica Haiku Borgata Madonna della Rovere, 4 - 10020 Riva Presso Chieri - Torino - Italy Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. - www.cascinamacondo.com
LE FINESTRE ERANO TUTTE CHIUSEdi Paolo SeveriCascina Macondo - Scritturalia, domenica 29 giugno 2008 Le finestre erano tutte chiuse. E avevo solo quattromila caratteri a disposizione per uscirne fuori, perché, anche se non lo hanno detto, anche le porte sono tutte chiuse. E il cellulare? Ma che, ti credi che in certi posti possa prendere il cellulare? Ma neanche per idea! Naturalmente è di pomeriggio, non c’è luce, e quando farà buio voglio proprio vedere. O dio, anche chiusi qui dentro, mica che si veda quel gran ché. Che faccio? Imbastisco una specie di triller horror che poi ne esco fuori con un lampo di genio e sregolatezza? Mah! Cerchiamo di capire come ci sono entrato in questa storia, che magari, avendo un punto di partenza, chi lo sa, magari ce ne salta fuori anche uno di uscita. Mi sono trovato con un foglietto in mano: “Le finestre erano tutte chiuse”. Poi, in piccolo, “hai a disposizione quattromila caratteri”. Fine del foglietto, e mi sono trovato qui dentro. Magia? Temo di sì, ma a una via sola, perché, altrimenti, me ne sarei già uscito. I muri sono reali, le stanzone vuote pure, anche le ragnatele sul soffitto. “Ma il chiuso fuori di noi è una proiezione del bla bla bla”. Tutte balle. Questo posto, che può essere una antica fattoria abbandonata e usata solo per chissà quali strani rituali, è ben reale, umida, con odore di chiuso e di muffa. Manco una sedia o un posto dove sedersi, accidenti, e per terra, nella penombra, se mi siedo, chissà cosa mi può capitare. Scappare. Sì, è una di quelle situazioni dalle quali bisogna scappare, mica è detto che ti debbano insegnare qualcosa, che caspita. Se riesci a scappare alla svelta, è tutto di guadagnato. Cantina. Proverò a cercare qualche scala che scenda o che salga, perché, a questo livello, gli stanzoni si susseguono senza speranza. Niente. Solo una sorta di labirinto. Raccolgo un coccio di mattone, traccio una riga sul muro che fiancheggio, in modo da capire se ripercorro la stessa strada o se c’è qualche falla nel sistema di prigionia. Un camino, ovviamente, murato. Lo batto col mattone, suona vuoto. Mi sembra troppo facile. Ho l’impressione che sia un tranello per farmi perdere tempo. Segno il posto con una grossa X e proseguo. Un rumore. Già, quasi non mi ero accorto dell’assoluto silenzio; questo rumore può magari significare qualcosa, magari disappunto da parte di chi mi osserva nel vedere che non sono caduto nel panico, né nel tranello del finto camino. Proseguo. Qui le stanze sono ancora più trasandate; probabilmente nessuno era arrivato fino qui. Allora vuol dire che è una prova, un test, un concorso a premi che alla fine vinci un pennacchiotto. Sto cominciando a farneticare. Ci sarà stato qualche altro prigioniero prima di me? Se sì, dovrebbe avere lasciato qualche segno. In effetti, in certe stanze c’era un odore più sgradevole, ma niente impronte per terra. Che abbiano ripulito e poi sporcato ad arte? E se ci fosse una cantina? Ma se c’è una cantina, non è detto che ci sia anche una scala a vista. Magari… magari c’è una botola mimetizzata sul pavimento. Che fare? Se mi stanno spiando, è bene che non sappiano di questa intuizione, così, se becco la botola, non hanno il tempo di prendere delle contromisure. Faccio finta di controllare il muro che segno con il mattone, ma con la coda dell’occhio guardo bene bene il pavimento. C’è una sagoma quadrata di colore leggermente diverso. Mi seggo facendo finta di volermi riposare. Mi guardo le mani, anche se, in effetti, guardo quella macchia di colore diverso. Sì! C’è una specie di maniglia. Di scatto l’afferro, sollevo la botola, strani rumori. Sotto, tutto pulito, con luci, macchinari, corridoi, monitor. Li ho beccati. Mi hanno infilato in un reality show senza che ne sapessi nulla, ma me la sono cavata in fretta. Si illumina uno schermo: “Complimenti, ha rispettato i quattromila caratteri e ha trovato la soluzione, ma la sua partecipazione è stata più noiosa che drammatica, per cui non andrà in onda. Le rimborseremo la mezza giornata di lavoro. Esca dalla seconda porta a sinistra. La ringraziamo e arrivederci.” Finestre chiuse. Ne puoi uscire solo fantasticando.
LA FORESTERIA "TIZIANO TERZANI" DI CASCINA MACONDO
Il nome "Macondo" che abbiamo dato alla nostra Cascina nel 1992 " Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito. Tutti gli anni verso il mese di marzo, una famiglia di zingari cenciosi piantava la tenda vicino al villaggio, e con grande frastuono di zufoli e tamburi faceva conoscere le nuove invenzioni. Prima portarono la calamita. Uno zingaro corpulento, con barba arruffata e mani di passero, che si presentò col nome di Melquìades, diede una truculenta manifestazione pubblica di quella che egli stesso chiamava l'ottava meraviglia dei savi alchimisti della Macedonia. Andò di casa in casa trascinando due lingotti metallici, e tutti sbigottirono vedendo che i paioli, le padelle, le molle del focolare e i treppiedi cadevano dal loro posto, e i legni scricchiolavano per la disperazione dei chiodi e delle viti che cercavano di schiavarsi, e perfino gli oggetti perduti da molto tempo comparivano dove pur erano stati lungamente cercati, e si trascinavano in turbolenta sbrancata dietro ai ferri magici di Melquìades…"
Si ringrazia Gabriel Garcia Marquez per aver scritto e regalato agli uomini un così grande libro. A lui la nostra gratitudine e il nostro affetto.
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Ultimo aggiornamento ( Lunedì 01 Agosto 2011 09:37 ) |
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