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Cinzia Revelli - maledetto |
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Scritto da Tartamella | |||
Lunedì 18 Aprile 2011 11:51 | |||
possibilità di pernottamento presso la Foresteria “Tiziano Terzani” di Cascina Macondo a costi di Bed and Breakfast
![]() Cascina Macondo Centro Nazionale per la Promozione della Lettura Creativa ad Alta Voce e Poetica Haiku Borgata Madonna della Rovere, 4 - 10020 Riva Presso Chieri - Torino - Italy Questo indirizzo e-mail è protetto dallo spam bot. Abilita Javascript per vederlo. - www.cascinamacondo.com
MALEDETTOdi Cinzia RevelliCascina Macondo - Scritturalia, domenica 7 novembre 2010 Maledetto il nome del padre, maledetto e laido, mi lascia in bocca sapore di dolore e arrota le frasi degli altri contro di me. In questo brano di terra dai confini aspri e nebbiosi tu sei ciò che tuo padre è stato, null’altro. Io grumo di vergogna. Da sempre cammino con lo sguardo orientato ai fossi, ai buchi, come un animale senza tana, che fruga con gli occhi fango o polvere per schivare le orme altrui. So leggere la terra meglio delle parole. Coltivo il campo e ne ricavo cibo, torno a casa scivolando di ombra in ombra, con il respiro che si fa bruma a celarmi il volto, mangio in fretta, al buio, poi mi corico e spero in un sonno senza sogni. Ma arrivano, arrivano sempre, i sogni, pieni di lui, di quel padre che non ho scelto e che mi ha reso esule al mio paese. Mi hanno gettato addosso così tanto la sua infamia che ormai me la sento scorrere sotto la pelle. Uscì di notte, avvolto dal silenzio, ogni sentiero impresso nella mente e ogni sasso, quando arrivò il casolare era buio, fece quel verso, quello concordato, una luce tinse la finestra, la porta si aprì piano e poi… …Erano dietro di lui, erano con lui, armi spianate e bombe e occhi pronti. La notte squassata dall’inferno, dopo solo quiete e sangue a pozze. Lasciarono i morti nella piazza, buttati come avanzi ai corvi e mitragliatrici a vietare di toccarli. Se ne andarono soltanto quando l’odore dei corpi putrefatti li cacciò. Fu allora che tornò, sulle sue gambe, mia madre, folle di gioia e di dolore insieme, lo incalzava di domande, ma la bocca di lui restò deserta di parole. Vennero a prenderlo al tramonto, lo trascinarono nell’aia, lo presero a sputi e a calci e a botte, poi gli dissero: “Corri, vigliacco, scappa!”, lui si rialzò, ma non si mosse, allora lo spinsero, lui prese a camminare lento, il viso girato alla finestra, le pallottole gli infiorarono la schiena, cadde con lo sguardo dentro al mio. “Vigliacco, vigliacco e traditore, assassino!” Dovunque andassimo urla che ci seguivano fitte come sassaiole. Mia madre fu colpita al cuore da tutta quella rabbia e ne morì, io restai solo a dodici anni, col campo, l’orto e qualche boccone che il prete mi lasciava di nascosto. Randagio fra la mia gente, nato da gramigna e, come lei, duro da estirpare. Sono cresciuto a insulti e pugni, a fatica e abbandono, sono adulto ora e la solitudine è una tagliola. Vorrei andarmene, ma dove? Il mio male mi inonda le vene, impresso nella carne dal nome del padre. Se mi distraggo e lascio che il mio volto si rifletta, non vedo me, ma lui e so di non avere scampo. Il mio nome è dimenticato, soltanto il suo risuona, il suo, il suo, il suo. Ho finito la legna, oggi fa troppo freddo per lasciare spento il focolare, mi guardo intorno nella cucina scarna, sopravvivono il tavolo, una sedia e la madia, la scelta è semplice, la madia è grossa, di legno buono, la spingo con fatica fino all’aia e poi la spacco, mi piace fare a pezzi il mio passato, torno dentro e accendo il fuoco, è il primo crepitare a illuminarlo, un foglio ripiegato di muffa e carta. Lo guardo e so, lo raccolgo come se fosse un fiocco di neve, lo stringo piano, poi lentamente lo schiudo e leggo le parole… …Uscì di notte, avvolto nel silenzio, ogni sentiero impresso nella mente e ogni sasso… Uscì per avvertirli che c’era un traditore, non fece in tempo… Io so chi era, il maledetto, non lo dirò perché i morti vanno lasciati stare, ma il mio sguardo adesso è dritto e il nome di mio padre è miele.
LA FORESTERIA "TIZIANO TERZANI" DI CASCINA MACONDO
Il nome "Macondo" che abbiamo dato alla nostra Cascina nel 1992 " Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito. Tutti gli anni verso il mese di marzo, una famiglia di zingari cenciosi piantava la tenda vicino al villaggio, e con grande frastuono di zufoli e tamburi faceva conoscere le nuove invenzioni. Prima portarono la calamita. Uno zingaro corpulento, con barba arruffata e mani di passero, che si presentò col nome di Melquìades, diede una truculenta manifestazione pubblica di quella che egli stesso chiamava l'ottava meraviglia dei savi alchimisti della Macedonia. Andò di casa in casa trascinando due lingotti metallici, e tutti sbigottirono vedendo che i paioli, le padelle, le molle del focolare e i treppiedi cadevano dal loro posto, e i legni scricchiolavano per la disperazione dei chiodi e delle viti che cercavano di schiavarsi, e perfino gli oggetti perduti da molto tempo comparivano dove pur erano stati lungamente cercati, e si trascinavano in turbolenta sbrancata dietro ai ferri magici di Melquìades…"
Si ringrazia Gabriel Garcia Marquez per aver scritto e regalato agli uomini un così grande libro. A lui la nostra gratitudine e il nostro affetto. CLICCA PURE TRANQUILLAMENTE SULLE PUBBLICITA' DI GOOGLE CHE COMPAIONO NEL NOSTRO SITO E CHE TI INTERESSANO
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Ultimo aggiornamento ( Lunedì 18 Aprile 2011 12:54 ) |
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