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CUORE E CERVELLO
di Elena Bonassi Cascina Macondo - Scritturalia, domenica 3 febbraio 2013
L’esplosione gialla delle forsitye precocemente fiorite occupa tutto il riquadro della finestra e Giacomo si è abbandonato alla loro allegria prepotente, quando la caposala entra nella stanza per dirgli “dottore, la seconda registrazione è finita, può venire a leggerla.” Ce ne saranno altre due, a distanza di due ore l’una dall’altra, poi si potrà staccare la spina. Sullo schermo non è cambiato niente: tutti gli elettrodi registrano una linea continua, perfettamente diritta, senza l’ombra della più piccola oscillazione: elettroencefalogramma piatto. Vuol dire che il cervello è morto. tra quattro ore Giacomo lo dirà ai genitori che aspettano fuori. Il cellulare squilla:”ciao papà, confermato che torni tardi? Allora la moto la prendo io. Vado da Elisabetta e ceno lì “ la moto ce l’hanno in comune e Roberto sprizza di gioia: così può starsene dalla ragazza, e portarsela in giro sulla loro moto, e tirarsela un pò. Immagina perché il papà torna tardi ma ciò non cancella la sua allegria. “Bene, divertiti” Fai attenzione non glie lo dice. Si è imposto di non dirlo, come si è imposto di non vietargli la moto e di tenersi la sua paura. Ha voluto risparmiare al figlio le ansie di un medico della rianimazione. Divertiti. Le foorsitye gialle. Un lampo nel buio. Ci sono ancora quattro ore, due più due. Non cambierà, non l’ha mai visto cambiare. Ma bisogna aspettare. Aspettare senza sperare, che cos’ è? Si è portato da leggere Le città invisibili. Città che non esistono. il Gran Kan se le fa raccontare. Marco Polo glie le racconta e diventano visibili. La città degli smeraldi, la città delle ragnatele d’oro. No, forse quella è nel mago di Oz. Ma non importa. Si possono anche mescolare: quelle visibili, quelle invisibili, quelle di un’altra storia. Sul Chott el DJerid, era quasi il tramonto, non c’era nessuno sulla pista salata,ma e lei non aveva paura diceva “dai”. E invece una ruota ha rotto la crosta di sale, la macchina è sprofondata nell’acqua e si è fermata. La mia bella macchina nuova, e adesso il sale la incrosterà tutta, la butterò via , e moriremo qui, in questo deserto salato dove non passerà più nessuno. Ma dai, diceva lei, e guardava il tramonto infuocato che era così bello “Non siamo ,mica nel deserto” Sì che siamo nel deserto” “Ma no, questo non è il deserto vero, come siam passati noi passerà qualcun altro” Guardava il tramonto e non aveva paura, Lucia. Giacomo invece si era quasi messo a piangere, invocava suo padre, che gli aveva regalato la macchina, e adesso lui l’aveva rovinata. Erano tanto giovani, erta tanto tempo fa. Giacomo le aveva detto: io non ho il tuo coraggio. Poi era arrivato un camioncino scassato con due tunisini che avevano legato la macchina con una fune e l’avevano tirata fuori. Quello che non guidava aveva un pentolino con dentro acqua dolce e un pennello, e ogni tanto scendeva a pulire i fanali che si coprivano di sale. Se non faceva così non si vedeva più niente. Lei si divertiva, e rideva. Sono arrivati alla città, colla macchina al traino, che era notte fonda. Nel bagno turco i raggi del sole entrano dalle trifore e bucano il vapore. E Il cervello lievita nel caldo di tutta la materia umida. E le mani del massaggiatore ti plasmano come creta e ti allungano e ti fanno prendere tutte le forme. E poi le acque fredde ti riportano sulla terra: pronti per uscire. Nel suk lei decide che va con gli altri e scompare: non avere paura, ci ritroveremo. Torna con degli studenti che hanno una casa sul mare. “Ci ospitano. Andiamo!” Il mare nero che non fa rumore, l’aria ferma delle notti calde come il giorno, la luce grande della luna piena. Roberto è stato concepito lì. Il cellulare suona ancora. “Ciao Giovanna… Si, questo week-end Roberto è con noi. E’ il prossimo che va da sua madre.. Sì, hai ragione, abbiamo fatto un po’ di confusione ultimamente”. “ Ultimamente?” - “Ok,vero. Lucia non è mai stata ordinata… Se puoi combinare coi Testa? Sì, certo, fai tu”. Testa rossa, testa n‘invisca - persona che si arrabbia facilmente - testa pelata .Crapa pelata fa i fidei, non ne da minga a i suoi fradei, i suoi fradei fan la frittata, non ne dan minga a crapa pelata. Bisogna pensare una canzone a partire dall’ultima parola di quella precedente. La palla sta sospesa nell’ aria non cade mai: la canzone te la puoi anche inventare. Parlami d’amore Mariù. Quella canzone lì, tornata improvvisamente di moda, era uno sballo: fatta apposta per stringere le ragazze e le ragazze, con quella canzone lì, si lasciavano stringere, Tutte, anche Lucia, che era sempre svagata e non le piacevano i lenti. ”E la cantina buia dove noi..respiravamo piano.” Quella lì era troppo bella, e il bello era cantarla, tutti insieme, e darci dentro fino alla fine, con tutte le parole, che è difficile saperle tutte perché non ha il ritornello. Parlami d’amore Mariù, invece andava bene per limonare, e fare l’amore. se ci rieucivi. A Città in Aria sono tutti ponti sospesi, ma non si cade mai. Anche le case ci stanno benissimo sui ponti tibetani. È solo una questione di equilibrio. Da una casa all’altra ci vai scorrendo sul filo e ci entri dalla finestra. Chi c’è qua? Un bambino che dorme? Che sonno profondo! Ma si sveglia o non si sveglia? No, non si sveglia. “Dottore !. E’ pronta la terza”. “ Quanti anni ha il ragazzo? ” “16 anni, dottore” Mi sa che è la stessa età di suo figlio. Che bel tipo, il figlio del dottore. L’ha chiamato prima. Qui c’è tanto silenzio che si sente tutto. Il dottore sta sempre chiuso nella stanza, e guarda fuori dalla finestra. Chissà cosa pensa,poveretto. Non vorrei essere al posto suo, a decidere di staccare. È finita. E chi lo sa,poi, se è proprio finita? E l’anima adesso, dove sarà? Magari è nel cuore che batte ancora. Se penso a queste cose, esco pazzo. Io non ci voglio più stare in questo reparto. Anche questa volta è uguale: calma piatta. Un tranquillo w.e. di paura. Quei due erano saltati sulla zattera e la facevano andare dentro le rapide, verso la cascata. E c’era un frastuono tremendo, e la zattera era avvolta dagli spruzzi e non si vedeva neanche più se c’era ancora, la zattera, o se era stata rovesciata e risucchiata dalle onde. Mi chiamano tutti, oggi. “Lucia!.. No, non disturbi. Che sto facendo? Il mio turno.. Roberto? Roberto è in moto. Andava da Elisabetta.No, non possiamo impedirglielo, e poi me lo dici proprio tu, che non hai mai avuto paura. Va bene, se lo sento gli dico di chiamarti.” Io non ho paura. Anche se la faccia del bambino prigioniero nel buio è bianca come quella di un fantasma e se i suoi occhi sono rossi e se i suoi denti sono lunghi come quelli dei vampiri, e anche le sue unghie . I suoi denti e le sue unghie affondano nella mia carne. “Dottore, è l’ultima” Besame, besame mucho, como si fuera esta noche la ultima ves… L’ ultimo bacio, l’ultima volta. Un ultimo bacio. No,sul tracciato non c’è nessuna onda cerebrale. Nessuna onda, nessuna rapida nessuna tempesta. L’unico movimento è quello del torace, sollevato dall’aria spinta dentro dalla macchina. L’unico rumore è il bip , bip che accompagna la traccia luminosa sullo schermo. Il cuore batte; la robusta pompa inconsapevole, costante e cieca, continua a mandar sangue in un campo di fiori morti, in un deserto senza tramonti e senza sorrisi. Dovrò fermarti. “Basta, basta, fermati!”, dice Topolino, agitando la bacchetta ; si è messo in testa il cappello dello stregone e ripete cento volte la formula magica, ma la scopa non si ferma: continua a vuotare un secchio dopo l’altro, implacabile,e l’acqua cresce. E neanche l’ascia serve: da ogni scopa spezzata ne nascono due, e dieci, cento, mille braccia rovesciano secchi uno dopo l’altro, e l’acqua sommerge la stanza, la casa, la città, il mondo. Grande Mago, dove sei? Ho preso i tuoi strumenti, ma non sono capace. “Dottore, stacchiamo?” “Dottore…dottore…Dottore?
LA FORESTERIA "TIZIANO TERZANI" DI CASCINA MACONDO
IL SALONE "GIBRAN" DI CASCINA MACONDO
GLI SPAZI INTERNI DELLA CASCINA
GLI SPAZI ESTERNI DELLA CASCINA Il nome "Macondo" che abbiamo dato alla nostra Cascina nel 1992 proviene dal libro "Cent'anni di solitudine" di Gabriel Garcia Marquez
" Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito. Tutti gli anni verso il mese di marzo, una famiglia di zingari cenciosi piantava la tenda vicino al villaggio, e con grande frastuono di zufoli e tamburi faceva conoscere le nuove invenzioni. Prima portarono la calamita. Uno zingaro corpulento, con barba arruffata e mani di passero, che si presentò col nome di Melquìades, diede una truculenta manifestazione pubblica di quella che egli stesso chiamava l'ottava meraviglia dei savi alchimisti della Macedonia. Andò di casa in casa trascinando due lingotti metallici, e tutti sbigottirono vedendo che i paioli, le padelle, le molle del focolare e i treppiedi cadevano dal loro posto, e i legni scricchiolavano per la disperazione dei chiodi e delle viti che cercavano di schiavarsi, e perfino gli oggetti perduti da molto tempo comparivano dove pur erano stati lungamente cercati, e si trascinavano in turbolenta sbrancata dietro ai ferri magici di Melquìades…"
Si ringrazia Gabriel Garcia Marquez per aver scritto e regalato agli uomini un così grande libro. A lui la nostra gratitudine e il nostro affetto.
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